Cos’è (davvero) la flessibilità lavorativa

Vantaggi, svantaggi e norme di un concetto spesso trattato con vaghezza

22/09/2022

Si parla spesso, sempre più spesso, di flessibilità lavorativa: ma di cosa si tratta, esattamente? Pandemia e digitalizzazione, negli ultimi anni hanno cambiato notevolmente le abitudini lavorative degli italiani, tanto da dettare alle aziende una nuova quotidianità. 

Il concetto di flessibilità applicato al lavoro affonda le sue radici nella seconda metà degli anni ’90, con le prime forme di contratto – per l'appunto – flessibili: oggi quella visione, che inizialmente riguardava soprattutto le tipologie di impiego (a tempo determinato, a collaborazione ecc.) si è estesa a moltissimi ambiti del lavoro.

Cosa si intende per flessibilità lavorativa

Cos’è la flessibilità lavorativa, dunque? Per le aziende, la flessibilità riguarda le forme contrattuali esistenti, ma anche le esigenze dei lavoratori, dunque la possibilità di lavorare da remoto o in smart working, a tempo pieno o part time, con orario orizzontale o verticale.

Questi aspetti sono regolati da un insieme di norme e accordi tra le parti che mirano a tutelare l’organizzazione quanto i lavoratori, portando vantaggi a tutte le parti coinvolte (almeno idealmente).

Da una parte, gestire in modo più agile le persone, dall’altra, ottimizzare il rapporto con il proprio impiego secondo necessità specifiche: così si potrebbe riassumere la flessibilità lavorativa, che è sia formale (ovvero fatta di norme e contratti), sia informale (ovvero determinata dalle politiche interne delle imprese).

Il lavoro può essere flessibile per l’orario, il luogo, ma soprattutto per il contratto che lo contraddistingue e lo regola.

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Varie tipologie di contratto di lavoro flessibile

A seconda dell’inquadramento, esistono diverse tipologie di lavoro flessibile, ciascuna regolata da regole specifiche, con diritti e doveri per ciascuna delle parti in causa.

  • Tempo parziale
    Si tratta di un contratto che prevede un orario settimanale inferiore alle canoniche quaranta ore previste dei normali rapporti a tempo pieno. Il part time può essere a tempo determinato o indeterminato, verticale (monte ore distribuito in modo differente tra i giorni lavorativi) od orizzontale (monte ore pari per tutti i giorni lavorativi). Inoltre, il lavoro può essere svolto sia in ufficio, sia da remoto o in smart working.
  • Somministrazione
    Questo tipo di contratto, introdotto nel 2003, sostituisce i contratti interinali e vede coinvolti il lavoratore, l’azienda e un’agenzia esterna per il lavoro, che si occupa di segnalare i profili più idonei alle esigenze delle imprese e ne cura l’inquadramento.
  • Apprendistato
    Un contratto pensato per introdurre nell’organizzazione lavoratori giovani (under 30), formarli con un percorso predefinito e professionalizzante, che li lega all’azienda per un minimo di 2 e un massimo di 6 anni.
  • Collaborazione coordinata e continuativa
    Sempre dal 2003, è possibile inserire in azienda uno o più lavoratori attraverso collaborazioni a progetto, così da farli operare a progetti specifici, per un tempo limitato. 
  • Lavoro intermittente
    Si tratta del così detto lavoro a chiamata, che consente all’azienda di contattare il lavoratore solo in caso di necessità.
  • Prestazione occasionale
    Introdotto nel 2017, questo contratto è normalmente proposto per lo svolgimento di attività saltuarie e mirate, anche a causa del limite annuale del compenso, che è fissato a 5.000 euro.

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Cosa dice la legge rispetto alla flessibilità lavorativa

Negli anni, il lavoro flessibile è stato sempre più regolamentato, così da efficientarne i flussi ed evitare disfunzionalità di vario genere. 

Tra gli interventi più significativi si ricordano la legge 196 del 1997, che introdusse il lavoro temporaneo (interinale) e predispose la prima regolamentazione per i contratti di collaborazione e a progetto. Risale al 2003, invece, la legge 30, che eliminò il lavoro interinale e introdusse co.co.pro., co.co.co. e altre forme di lavoro intermittente, occasionale e accessorio.

Nel 2017, con la legge 81, si definì il lavoro agile (o smart working), stabilendo che il lavoratore da remoto ha gli stessi diritti di quelli in sede, sia in termini economici, sia per quanto riguarda le tutele.

Altre normative verranno: è plausibile ad esempio che, nei prossimi mesi, si provi a riorganizzare proprio lo smart working, adattandolo alle nuove esigenze post-pandemia.

Vantaggi e svantaggi del lavoro flessibile

Tra i vantaggi del lavoro flessibile, per l’azienda, vi sono sicuramente l’ottimizzazione della gestione delle risorse umane, la possibilità di estendere la ricerca di nuovi talenti offrendo condizioni agevolate e personalizzate, nonché di disporre di persone selezionate tramite agenzia, così da guidare i processi di espansione e innovazione in modo graduale ed elastico.

Sul fronte dei lavoratori, i vantaggi si concretizzano in orari cuciti su misura, secondo le loro esigenze, nella possibilità di operare anche lontano dall’ufficio e di organizzarsi autonomamente, secondo obiettivi di progetto e non secondo il normale orario operativo.

La flessibilità può portare anche qualche complicazione, però: alcuni collaboratori potrebbero cercare impieghi più continuativi, remunerativi o a tempo indeterminato, dunque essere poco motivati. Inoltre, i lavoratori devono formarsi continuamente (o essere formati continuamente) per affrontare con dovizia i propri compiti, che possono variare molto, di contratto in contratto.

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